lunedì 24 dicembre 2007

Una conclusione estemporanea

In attesa di ulteriori sviluppi sulla questione giudiziaria, tentiamo di dare una conclusione prenatalizia del tutto temporanea alla questione sull'auditorium.
Frequentando e leggendo vari forum e blog all'interno della rete, oltre che la stampa cartacea che riporta i commenti dei cosiddetti portatori di interesse, il cui interesse però ha ahimè ben poco a che spartire con criteri di qualità architettonica,uno su tutti skyscrapercity.com, appare chiaro come i giudizi sul concorso da parte di chi, profano o no, si interessa a questioni di ordine architettonico, siano vari e di orientamento differente: chi appoggia incondizionatamente questo o quel progetto, chi evidenzia la poca trasparenza delle vicende legate alla giuria, chi mette il dito sull'opportunità del bando in un'area simile e chi mette in discussione i vincoli stessi del bando, vedi le due palazzine liberty sede della SITA. Quello che però balza agli occhi è come spesso e volentieri tali giudizi si arrestino al "mi piace/non mi piace", evitando quasi sistematicamente di mettere a fuoco determinate categorie di giudizio, e di dare quindi effettive valutazioni di carattere qualitativo. Visto che sembra uno sforzo così inedito, e visto che anche la giuria, come si evince leggendo qui, non pare abbia avuto le idee troppo chiare in merito, proviamo a farlo in questa sede, ben consci della totale opinabilità della posizione espressa e, anzi, con lo scopo di aprire una dialettica con chiunque fosse interessato e magari dissentisse.
Onde sgombrare da subito il campo da insinuazioni di sorta, partendo dal presupposto che è chiaro che "piuttosto che niente è meglio piuttosto", pensiamo si sia tutti d'accordo che qualcosa debba andar fatto. Per cui, se l'alternativa è l'ignavia, che inizino a costruire il Kadauditorium anche subito. Però, se parliamo di architettura, non pensiamo che questo sia il miglior criterio possibile, perché altrimenti di questo passo sceglieremo sempre il meno peggio, accorgendoci sempre ex-post di una soluzione migliore e dicendo sempre "Ma, forse era meglio...". Pensiamo tuttavia che in un'occasione come questa si possa aprire una polemica costruttiva sul senso e, se non sul merito, almeno sul metodo, delle architetture che dovrebbero essere costruite nella nostra città, anche perché si tratta ancora solo di progetti, e quindi di idee. Non è mai troppo tardi per sperare che possa innescarsi qualche circolo virtuoso, per cui, hai visto mai...

Scegliamo di non addentrarci nella prima polemica che ha interessato il concorso, ossia la polemica sulla situazione idrogeologica dell'area. Tutto ciò per un semplice motivo, ossia, parafrasando il buon Cecchetto, perché siamo architetti, e non idraulici, e riserviamo quindi considerazioni di sorta a chi ha i titoli per poterle fare. Ci interessiamo quindi a un'altra questione, ben più immediata, anche se altrettanto spinosa.
E'nostra ferma convinzione che il nuovo auditorium di Padova, soprattutto nell'area in cui è stato localizzato il bando di concorso, rappresenti una straordinaria occasione per dotare la città, oltre che di una struttura colpevolmente mancante da anni come tante altre (palasport e nuovo ospedale su tutti), di una nuova icona di alto profilo dal punto di vista architettonico, che vada ad arricchire e modernizzare l'immagine della "capitale" del Nordest in Italia e nel mondo, affiancandosi a quelli che sono da secoli i simboli della città, vale a dire il Santo, il Palazzo della Ragione, gli Eremitani, gli Scrovegni, l'Università. Per questo motivo quindi, senza arrivare agli eccessi di immagini infernali evocate dal maestro Claudio Scimone (membro della giuria), ci sembra che il nuovo edificio, in quanto punto di attrazione, debba necessariamente essere visibile e quindi assolutamente fuori terra. E crediamo che considerazioni relative al luogo, alla vicinanza del Piovego e quindi alla necessità di un intervento in punta di piedi non siano in alcun modo in contrasto con questo aspetto, anzi, rappresentano il lato più affascinante della sfida; e tutte quelle opinioni manichee, da tutto o niente, tipiche di associazioni e comitati che cavalcano solo cavalli di battaglia senza entrare nel merito delle questioni, onestamente ci sembrano, con tutto il rispetto, solo SPAZZATURA. Sì, perché ci sembra quantomeno singolare che Legambiente e Amissi del Piovego (lodevoli in altri frangenti) si scaglino contro auditorium in superficie e monumenti all'11 settembre in nome del ritorno all'età dell'oro pre-automobilistica, quando di fronte all'area dell'auditorium (ex-Cledca)è in costruzione un megaparcheggio multipiano nel silenzio-assenso generale. In pratica ci troveremmo con un auditorium costruito sottoterra per guadagnare pochi metri quadrati di verde (che attualmente, e da decenni, non c'è), e un parcheggio multipiano costruito fuoriterra perché si sa che, a Padova, a piantare un badile esce acqua. La contraddizione ci sembra palese per cui preferiamo non infierire...
Ci sembra quindi assai più interessante considerare, come già evidenziato, l'occasione che questo concorso offriva, ossia quello di realizzare un brano di città in un luogo di connessione, tra l'altro di storica vocazione transitoria e quindi di altissima frequentazione, tra il nucleo medievale della città, cioè via Porciglia e il complesso degli Eremitani, e la city più moderna delle banche e degli edifici direzionali, che in questi anni andrà ad arricchirsi del nuovo Pp1, progettato da Boris Podrecca; brano di città che, oltre alle caratteristiche testè evidenziate, si caratterizza per la spettacolarità e delicatezza del luogo, vale a dire un'ansa del Piovego, per la destinazione d'uso del manufatto, la migliore possibile quanto a possibilità di espressione dell'estro creativo di un progettista, e per un ulteriore vincolo, a nostro parere del tutto opportuno, di riuso e riconversione delle due palazzine liberty poste a lato della strada, che, pur di modesto valore, costituiscono una sorta di ancoraggio, di testa di ponte con la città esistente. In altre parole, appare evidente la fortissima VOCAZIONE URBANA che dovrà avere il nuovo progetto, la cui immagine dovrà in qualche maniera farsi carico di tutte le variabili elencate sinora. E'per questo motivo che il nuovo edificio, oltre a essere fuoriterra, dovrà essere prima che un manufatto, un LUOGO, un FATTO URBANO, che per forza di cose non dovrà però limitarsi ad essere un capriccio, un esercizio di stile magari ardito e ingegnoso, ma incapace di instaurare una dialettica di un certo tipo con il contesto.
Alla luce di queste riflessioni, ci permettiamo di esprimere alcune considerazioni sui 10 progetti finalisti del concorso, o perlomeno sui più significativi, fatta salva comunque un'alta, a nostro avviso, qualità media. Appare evidente come si possano distinguere tra questi due orientamenti precisi, rispondenti anche alla poetica personale di ciascun progettista: chi si concentra quasi esclusivamente al manufatto in sé, considerandolo come un oggetto autoreferenziale che non trova legami con il luogo se non a livello superficiale, e chi cerca di trovare legami con il luogo e di instaurare relazioni forti con il contesto, pur partendo evidentemente da background culturali comnpletamente differenti; nel mezzo troviamo poi alcune proposte ibride, che non prendono una strada ben precisa e rimangono sospese, pur nella qualità della loro proposta.
Scorrendo i vari progetti, appare evidente come ai primi appartengano proposte come quella di Ben Van Berkel, quella di Hermann Hertzberger e quella anche del progetto attualmente vincitore, Klaus Kada. Tre proposte affascinanti e interessanti, considerando il manufatto in sé, ma che prestano il fianco a diversi possibili attacchi se si analizza il legame con il contesto. Entriamo nel dettaglio.
Il progetto di Van Berkel, nella migliore tradizione di UNStudio, è senz'altro il più accattivante tra i progetti in gara, non fosse altro per il clamoroso favore riscontrato tra i visitatori della mostra del Salone.







E'un'edificio dalla volumetria non convenzionale, certo armoniosa e sicuramente spettacolare, ricca di reminiscenze celebri come l'Opera di Sidney, e che ha tra l'altro il pregio non da poco di includere una consistente porzione di verde nella sistemazione degli spazi esterni. Ci sembra tuttavia che si tratti di un complesso sin troppo grande per l'area in questione, un'architettura che, pur se i rendering presentano delle viste affascinanti dal Piovego, meriterebbe senza dubbio un respiro decisamente maggiore per poter essere essere goduta al meglio, proprio tra l'altro, come la sua antesignana australiana cui tanto sembra ispirarsi; è evidente, tra l'altro, la volumetria eccessiva nel porsi chiaramente fuori scala rispetto alle palazzine liberty lungo strada, non comunicando così una sensazione di integrazione che apparirebbe invece quanto mai opportuna.



Poco interessante appare comunque la scelta di rifarsi in maniera tanto palese a un riferimento straniero già esistente, che mal sembra conciliarsi con la necessità di realizzare un'icona specifica di Padova e della sua immagine, e altrettanto poco caratterizzata appare, dalla pianta, la sistemazione degli spazi esterni e il loro aggancio al tessuto esistente.



Altrettanto ingegnosa appare la proposta di Hermann Hertzberger, più vicina a una matrice razionalista teutonica che viene poi sconfessata nella fantasmagorica sistemazione interna, non priva di un certo fascino quasi piranesiano. Da sottolineare la sistemazione a verde degli spazi esterni, volti a creare un continuum con il verde al di là del Piovego, e il rivestimento dell'edificio, che con la sua leggerezza, molto vicina ad atmosfere bureniane, stempera la solennità del parallelepipedo dando al complesso il carattere quasi di un'installazione.









Anche in questo caso, però, è evidente come le attenzioni del progettista fossero rivolte molto di più all'edificio che al suo dialogo con il contesto. Lo si evince dalle dimensioni, anche qui decisamente eccessive rispetto al sito e all'edificato più prossimo, vale a dire le palazzine, e lo si evince soprattutto dal suo trasbordare fin sopra il Piovego, oscurando di fatto quello che dovrebbe in ogni caso rimanere il vero protagonista di ogni scorcio dell'area, vale a dire il canale. Non appare poi coerente, per quanto interessante, il contrasto tra la monumentalità dell'edificio e la vacuità del suo rivestimento, che ne indebolisce in qualche modo il richiamo e la riconoscibilità.



Il progetto di Kada&Wittfeld, a tutt'oggi vincitore, quanto a immediatezza e riconoscibilità è probabilmente il migliore di tutto il lotto dei finalisti. Aiutato anche da una presentazione estremamente efficace, affida al dialogo tra il volume della sala e la mirabolante copertura di cemento armato traforata, che sembra ammiccare al primo Niemeyer e addirittura a Ronchamp, gli esiti estetici della propria proposta. E'una proposta minimalista per molti aspetti, non ultimo la monomatericità, ma che presenta al contempo elementi estremamente ricercati, come il motivo vegetomorfo della copertura.









Tanta eterea e diafana eleganza esprime però più autocompiacimento che interesse a farsi portatrice di valori condivisi. Appaiono deboli i legami con il contesto (non c'è traccia della sistemazione degli spazi esterni), così come non ci convince minimamente il parallelo citato in sede di relazione tecnica tra la copertura e i portici patavini, assolutamente distanti come struttura, misure e tipologia; debole appare anche il legame con il canale, affidato esclusivamente all'aggetto della copertura. La copertura di calcestruzzo poi, interessante da un punto di vista plastico, si presenta come unico medium di caratterizzazione dello spazio esterno: in questo ruolo, appare enorme e monotona, e poco adatta a creare specificità. Poco convincente, per quanto insolito e accattivante, appare il motivo vegetomorfo della copertura, più vicino a un brillante capriccio molto PoMo che a un effettivo, e in questi termini banale, richiamo alla vegetazione antistante, così come da relazione di progetto.





Si parlava poi dei progetti "a metà del guado". Tra questi, a nostro modo di vedere stanno la proposta di Arata Isozaki e quella di David Chipperfield.
L'illustre giapponese coniuga come al solito la purezza e la riconoscibilità dei suoi volumi con la fantasmagorica leggerezza del rivestimento. Un'architettura fatta di pochi ma chiari elementi, che pur nella loro dichiarata autonomia figurativa, si adagiano dolcemente sull'intorno: basti pensare al portico, al rapporto con le palazzine, o alla trasparenza dei volumi dedicati al foyer.





Il maggior punto debole di tutta la composizione sembra essere però il suo elemento maggiormente caratterizzante: stiamo parlando dell'anfiteatro all'aperto, mirabilmente e ingegnosamente posto a legame indiossolubile ed effettivo con il canale, ma che non trova altrettanto compiuta giustificazione all'interno delle ragioni compositive del progetto. Da qui la sensazione di sospensione, da molti considerata però copme fatto positivo, come testimonia il favore raccolto presso il pubblico da parte dell'anfiteatro.
Sensazione simile viene trasmessa dalla proposta di Chipperfield. Famoso per la misura con cui riesce a inserire le sue opere ovunque mantenendo costante e inconfondibile il suo stile austero ed essenziale, il progettista inglese stavolta propone un'opera che, pur nella sua non invasività e nel suo carattere fortemente urbano, espresso dalla molteplicità dei piani di fruizione potenzialmente capaci di ospitare numerose e flessibili oggettivazioni secondarie, non sembra avere un'immagine così forte da poter diventare un'icona riconoscibile.



Veniamo dunque all'ultimo gruppo di progetti. Si tratta delle soluzioni a nostro modo di vedere più interessanti e compiute, in quanto affrontano la questione in modo completo e coerente, integrando la riflessione sugli aspetti compositivi con una puntuale investigazione delle relazioni con il contesto. E a questo gruppo appartengono a nostro avviso il progetto di Juan Navarro Baldeweg, di Manuel Aires Mateus, di Archea, di Odile Decq e anche di Cecchetto, come evidenziato nel post precedente. Detto dunque di Cecchetto nel post appena citato, veniamo brevemente agli altri.
La proposta di Archea è indubbiamente tra le più interessanti e originali. Il gruppo fiorentino che fa capo a Marco Casamonti concepisce un organismo edilizio la cui forma, senza fronzoli mimetici o forzature di alcun tipo, trova la sua essenziale ragion d'essere nella forma urbis del luogo. Lo si vede chiaramente dall'originale sistema di distribuzione delle sale e dei percorsi, totalmente improntati a cercare di relazionarsi direttamente ai due grandi palcoscenici del luogo, vale a dire la strada e il canale, realizzando due fronti porticti di uguale dignità che costituiscono un'interpretazione assolutamente pregnante della morfologia del luogo. Raffinato è anche il rapporto con le palazzine liberty, sopraelevate di un piano ma non sopraffatte figurativamente, e con cui il confronto volumetrico non è soverchiante.





Sulla stessa lunghezza d'onda è la proposta di Juan Navarro Baldeweg. Fedele al suo stile misurato e composto, il maestro spagnolo propone un edificio dall'immagine forte e compatta dall'esterno, caratterizzata da elementi semplici e riconoscibili (i volumi, il portico, la tettoia sulla strada), ma estremamente permeabile e fluido all'interno, permettendo così allo spazio urbano di penetrare in esso e di informarne la forma e la distribuzione. Anche in questo caso è evidente l'attenzione al rapporto con il contesto, con il chiaro intento di inserirsi, al massimo di affiancarsi, e mai di imporsi.











Originale anche se eccessiva appare la proposta di Aires Mateus, di cui non disponiamo purtroppo di immagini. Si tratta di un progetto eccessivo perché esageratamente frammentato: il progettista portoghese concepisce uno spazio molto copmplesso, facendo letteralmente entrare la città all'interno dell'edificio e realizzando una grande molteplicità di spazi a diversi livelli di idioritmia. Nel far questo, però, lo spazio interno dell'edificio rischia di dissolversi, così come rischia di dissolversi quindi anche l'immagine dell'edificio stesso, e quindi la sua riconoscibilità.
Ultimo di questa carrellata arriva il progetto di Odile Decq. E' un progetto estremamente articolato, che nonostante tutto non comunica una sensazione di pesantezza o ridondanza come le dimensioni potrebbero far pensare, ed è la soluzione che a nostro modo di vedere rappresenta il miglior compromesso tra le peculiarità del luogo e quelle del manufatto che il luogo deve ospitare. L'edificio viene infatti dilatato sino a ricoprire gran parte del sito, lasciando comunque una cospicua porzione di superficie scoperta sistemata a verde in prossimità del canale: nel suo espandersi a dismisura, il costruito però acquista una struttura gerarchica la cui scala supera quella architettonica, in cui le singole sale di ascolto divengono volumi puri, veri e propri edifici a sé stanti, e il foyer diviene una gigantesca piazza coperta dal rivestimento vetrato completamente trasparente, e in cui la luce naturale entra anche dall'alto attraverso le numerose aperture, anch'esse vetrate, praticate nella plastica copertura. Si realizza così uno spazio sensazionale ed estremamente confortevole, veramente urbano a tutti gli effetti, in cui i percorsi verticali si intrecciano a quelli orizzonatli, e in cui la varietà degli scorci rende mai scontata la sua percezione. Completano poi l'opera la straordinaria eleganza nella trattazione dei volumi, che ricorda atmosfere organiciste e neoplastiche, il rapporto con le palazzine, totalmente reiterpretate e da cui l'edificio, attraverso la copertura, sembra scaturire, e l'ambizioso colore rosso dei volumi delle sale, che dà riconoscibilità immediata a tutto l'insieme, oltre a essere un elemento figurativo la cui padovanità è al di sopra di ogni ragionevole dubbio. Inutile nascondere comunque, onde non sembrare qualunquisti e del tutto agnostici, cosa del tutto esecrabile, oltre che vile, in questi casi, che è anche il progetto che maggiormente riscontra il favore di chi scrive.











Un'ultima considerazione, che ci pare quanto mai pregnante. E'stata spessa tirata in ballo nelle varie sedi di discussione, in seguito alle vicissitudini metodologiche e burocratiche di tutta la vicenda concorsuale, la questione relativa allo strumento e alle modalità di giudizio relativamente ad occasioni come quella di cui ci stiamo occupando, e ci si è spesso interrogati sull'idoneità o meno di formule concorsuali simili e sull'eventuale ricorso a consultazioni popolari, in luogo di consulenze di élite di "saggi". Anche qui, crediamo vada fatto un po' d'ordine.
E' demagogico e anche un po' fariseo pensare di decidere le sorti architettoniche e urbanistiche di un'area attraverso un referendum, per un motivo molto semplice: la gente comune non ha il discernimento necessario per prendere una decisione in merito e scegliere tra questo e quel progetto (lo ha detto anche Vittorio Gregotti, che pure non è esattamente tra i nostri progettisti preferiti). Ci sono modi molto migliori per innescare un fenomeno che va tanto di moda oggi, ossia la PARTECIPAZIONE. Si possono organizzare tavoli di discussione, isolare delle categorie di indagine in merito al progetto (interrato-non interrato, senza palazzine-con le palazzine, ecc.), esporle alla gente e agli eventuali portatori di interesse illustrando i pro e contro tramite dei professionisti non di parte, raccogliere pareri, impressioni e quant'altro e redigere un documento di sintesi opportunamente filtrato e reso coerente che poi possa costituire da guida per i progettisti, e soprattutto, per il bando di concorso. E'stata condotta un'esperienza molto simile con la ben nota vicenda delle Torri Gregotti all'Arcella, questione in cui ci imbatteremo prossimamente: è sotto gli occhi di tutti il palese fallimento, palese sin dalla formulazione dei quesiti, del referendum del 18 giugno 2006, ed è altrettanto evidente che invece il tavolo di concertazione per l'elaborazione del P.A.T. organizzato nel quartiere ha dato dei risultati magnifici in termini di indicazioni progettuali e soprattutto di creazione di consapevolezza condivisa presso i non addetti ai lavori. Procedimento costoso e dispendioso certo, anche economicamente, però sicuramente più utile di molti altri sprechi perpetrati dalle pubbliche amministrazioni, e che sicuramente eliminerebbe sia i costi aggiuntivi dovuti a ritardi, ricorsi, polemiche e controricorsi, sia i tristissimi teatrini tipo quello cui si sta assistendo a proposito dell'auditorium. In fondo, poi, si tratterebbe di recepire la tanto nominata legge 11/04, mica l'Editto di Rotari...Certo, poi, se in sede di giuria avvengono cose strane com'è sin troppo evidente sono successe per l'auditorium, lì c'è poco da fare. Ci si può chiedere poi: "come si fa a far partecipare gli incompetenti?" Semplice, rendendoli meno incompetenti. E' chiaro che bisogna tenere conto del parere di tutti. Però perché ciò sia utile, è altrettanto chiaro che tutti devono essere in grado di dire qualcosa avendo concezione di causa. Se tu chiami un architetto a progettarti l'arredamento di casa, sicuramente non sei tecnicamente competente, ma altrettanto sicuramente sei consapevole di ciò che ti serve, di ciò che ti piacerebbe e delle conseguenze delle tue scelte nella tua vita domestica, perché ne hai un riscontro immediato e quotidiano. Ciò è molto meno semplice in un progetto urbano, perché il singolo non addetto ai lavori non ha le competenze per valutare ricadute sul medio-lungo periodo e su ambiti che sfuggono al singolo esaminatore (anche competente, basta vedere l'esercito di tecnici e consulenti che si cela dietro ogni singolo progetto di concorso anche a scala non esattamente territoriale).
Perciò, l'unico sistema, o meglio, il meglio percorribile, meglio ancora, il primo passo, qual è? Fare CORRETTA E SANA INFORMAZIONE, e non demagogica strumentalizzazione politica come purtroppo sempre accade in questi casi (ambientalisti, no-tav e progetto Libeskind insegnano), sia da parte della pubblica amministrazione sia da parte dei comitatini più o meno spontanei, tipo il Comitato Ansa Borgomagno, dove poi si scopre che in realtà i sobillatori sono militanti del Pedro che cercano solo di evitare lo sfratto da un edificio occupato abusivamente (tra l'altro), altro che nobili principi...
Il problema non è che a Padova manchi un interlocutore, che possa porsi positivamente di fronte a dei progettisti. Le persone competenti ci sono, via, e se si parla di interlocutore come opinione pubblica, forse spontaneamente non c'è da nessuna parte. Il problema è che a Padova MANCA LA VOLONTA' di porsi come interlocutore privilegiato, perché purtroppo chi guida le menti, sia al potere che all'opposizione, fa tutto, ma proprio tutto, per mero tornaconto elettorale. E intanto, sembra un luogo comune, ma è così, le occasioni perse aumentano.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Davide,
raccolgo il tuo invito lanciato su Skyscrapercity a scrivere anche qui.
Riguardo alle palazzine liberty: nelle condizioni in cui sono, non le ho mai digerite. Ho sempre sperato che un giorno potessero essere demolite, perché trovo siano veramente mediocri e ormai estranee al contesto in cui sono state costruite. Salverei solo la prima venendo da Corso del Popolo, per via della veranda che si affaccia sulla stazione delle corriere, ma l'altra, quella che fa angolo con Via Gozzi, mi ha sempre dato l'impressione di una costruzione campagnola.

Riguardo ai progetti per l'auditorium, ammetto che al momento della proclamazione del vincitore la proposta di Cecchetto non mi era dispiaciuta, mi piacevea l'idea della suo scarso impatto esterno con l'intento dichiarato di valorizzare il Piovego quale cordone ombelicale che unisce Padova a Venezia. Progetto che denota una sensibilità culturale, più attento però a valorizzare il Piovego che non l'auditorium vero e proprio. Per questo molto apprezato dai vari gruppi ambientalisti, che lì, per ragioni ideologiche, non avrebbero mai voluto nulla, ma ben disposti ad accettare l'auditorium ipogeo perchè praticamente invisibile. Come si dice, lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

I due progetti presentati in concorso che più mi hanno affascinato, e che mi piacerebbe vedere realizzati, sono quelli di Kada e di Odile Cocq.

Devo ammettere che la presentazione del progetto austriaco mi ha emozionato non poco, soprattutto vedere l'auditorium sullo sfondo delle torri previste dal piano Podrecca, perché ho percepito nella proposta una forte suggestione in termini di identità urbana.

Però il rosso dell'auditorium dell'architetto parigino: magari! E quanto mi è piaciuto l'ingresso proposto su Via Gozzi.

Davide Cavinato ha detto...

Sulla qualità mediocre delle palazzine non posso che convenire, tant'è vero che tutti i partecipanti del concorso vi hanno messo mano salvando solo le volumetrie, con scelta felice del bando secondo me perché così hanno fornito un'eventuale sede per il conservatorio e soprattutto una testa di ponte con il tessuto urbano consolidato e con il fronte strada.
Riguardo al progetto di Cecchetto ho avuto modo di sottolineare le numerose qualità, pur non condividendo i presupposti della sua idea. Idea ardita e importante per sviluppare il dibattito sull'area e sull'edificio, ma chiaramente inadeguata sotto molteplici punti di vista. Per questo la vittoria del suddetto mi ha stupito non poco, oltre che lasciarmi notevoli perplessità quando ho letto di tutte le vicissitudini del concorso. Poi, quando ho visto che due membri della giuria erano professori Iuav, Strada e Siviero, al pari dello stesso Cecchetto, le perplessità sono diventate certezze. E' chiaro, che tra le tante cose che secondo me hanno "inquinato" il lavoro della giuria, è subentrato in maniera importante un certo corporativismo di parte (usiamo un'eufemismo elegante), corporativismo che puntualmente si verifica in ogni concorso italiano in cui si presentano architetti e giurati della medesima facoltà. Ma c'est la vie, bisogna prenderne atto e continuare a lavorare e sperare che prima o poi le cose cambino.

Grazie del commento, a presto e buon 2008!

Anonimo ha detto...

Davvero un bel post, di quelli lunghi e approfonditi che anch'io scrivevo, appena aperto il blog. Che dire... sono d'accordo su tutto, a parte una cosa. Quell'uscita di Cecchetto sugli ingegneri idraulici, secondo me, è stata infelice. Infatti, se è vero che l'architetto non può occuparsi personalmente e approfonditamente di questioni tecniche specifiche (come quella idraulica) dovendole così affidare a professionisti specializzati, è altresì vero che in quanto "regista" dell'operazione di progettazione di un edificio, non può ignorarne le problematiche più importanti, di cui deve comunque interessarsi e tener conto. Qui mi sembra che il nostro amato Cecchetto abbia detto "Belli miei, io mi occupo dell'utilitas e della venustas, di come sta su se ne occuperanno gli ingegneri", il che non mi sembra un approccio molto da architetto.

Comunque complimenti per il blog, con un po' di invidia... perchè quando ho aperto il mio più di un anno fa me lo immaginavo proprio così. Poi il cazzeggio ha preso il sopravvento, anche se qualche post "serio" ogni tanto riesco ad infilarcelo.

Ciao e buon lavoro (ad aprile dobbiamo farcela eh!!!)
Manuel

Davide Cavinato ha detto...

Grazie collega...ad aprile bisogna. Comunque anche per me è stata infelicissima l'uscita di Cecchetto, e mi sembra di averlo detto in un post...ora guardo...
Grazie ancora per i complimenti, sin troppo usurpati...Ora non ho tantissimo tempo per dedicarmici in maniera continuativa come vorrei, per cui mi limiterò a pubblicazioni più sporadiche ma "concentrate".

Davide Cavinato ha detto...

un'ultima cosa...il cazzeggio qui non c'è perché ce l'ho su un altro blog, dove prima c'era gran parte dei post qui presenti. Poi, siccome di là il pubblico non gradiva, ho deciso che era il caso di dare la sede opportuna alle cose serie...

Anonimo ha detto...

... la stessa cosa che volevo fare io un annetto fa, pensa che avevo già scelto nome e piattaforma per un blog "solo di architettura"... non escludo di farlo davvero, magari dopo la laurea.
Riguardo alla frase di Cecchetto, avrò letto male io, e ho pensato che la condividessi... effettivamente i conti non tornavano...
Allora buon lavoro e buon 2008! E che il nuovo anno ci porti la corona d'alloro...